28 settembre 2021
Come ormai sapete, una delle prime analisi che effettuo nella ricerca e selezione di un certificato è quella relativa alla composizione del basket e, in particolare alla correlazione dei titoli sottostanti. Tendenzialmente (anche se non sempre vero in senso assoluto), titoli appartenenti al medesimo settore avranno una maggiore correlazione rispetto ad un basket diversificato. Ne consegue che in caso di situazioni di ribasso del mercato, sarò esposto ad un solo settore e non a tre o quattro diversi.
La scelta di oggi ricade sul settore dei beni di largo consumo ed in particolare sull’abbigliamento sportivo. Con l’avvento della pandemia e dei lockdown che l’hanno caratterizzata, l’interesse verso l’attività fisica e sportiva è notevolmente aumentato e, di conseguenza, anche il mercato dello sportswear ne ha beneficiato. Vanno poi considerati altri due fattori: l’incremento della domanda femminile e la crescita dei mercati asiatici e del Medio Oriente, dove rispetto all’occidente lo sport quotidiano e l’interesse verso il benessere fisico non hanno ancora la stessa importanza ma si sta lentamente radicando. È prevista una crescita notevole anche del mercato africano grazie all’afflusso di nuovi investimenti e partnership. India e Cina sono i paesi che registreranno il più forte tasso di crescita mentre gli Stati Uniti rimangono il primo mercato in termini di ricavi.
Si stima che il mercato possa crescere dagli attuali 360 miliardi di dollari a circa 540 miliardi nel 2026, con un incremento del 50% in cinque anni, dopo l’ovvio crollo a 260 miliardi del 2020.
Le condizioni congiunturali sono quindi favorevoli per il settore e il certificato analizzato oggi ha come sottostanti tre delle prime quattro aziende per quota di mercato (fonte PWC Sportswear Market Outlook): Nike (14,8%), Adidas (9,9%) e Under Armour (2,1%). Analizziamole nel dettaglio.
Con sede in Baviera, Adidas è un marchio storico che produce calzature dal 1924. Negli anni ha integrato alla propria offerta anche capi di abbigliamento ed altri accessori sportivi e attualmente è il maggior produttore di abbigliamento sportivo in Europa e il secondo a livello mondiale. Non ci sono dubbi sul fatto che l’azienda sia molto solida e a dimostrazione di ciò, il fatto che riesca a generare entrate costanti, che si traducono in ricavi che si aggirano tra i 5 e i 6 miliardi di euro a trimestre.
Un business quasi secolare come è appunto Adidas, ha attraversato molti cambiamenti sia a livello manageriale che a livello di business model e di ricerca del prodotto, in termini di gusti dei clienti e in relazione alle necessità di un mondo in continua evoluzione. Nel 1947, dopo 23 anni dalla costituzione della società (che inizialmente si chiamava Gebrüder Dassler Schuhfabrik: “fabbrica di scarpe fratelli Dassler”), i due fratelli, Adolf e Rudolf, a causa di dissidi che ormai andavano avanti da tempo, decisero di separare le proprie attività: da una parte Rudolf fondò Ruda (che poi divenne Puma), mentre Adolf decise di fondare Adidas (l’unione tra il suo soprannome, Adi, e le iniziali del cognome, Das). Tra i due nasce fin da subito un’aspra rivalità, ma la società di Adolf conquista piano piano maggiori fette di mercato e inizia ad espandersi considerevolmente. Il 6 settembre 1978, dopo la morte del fondatore, subentrano nella gestione dell’azienda, la moglie Käthe e il figlio Horst.
Di recente la società ha venduto Reebok (acquisita per 2,1 miliardi di euro agli americani di Authentic Brands Group, accordo che dovrebbe essere finalizzato entro il primo trimestre 2022).
Nike nasce nel 1964 sotto l’insegna Blue Ribbon Sports quando Phil Knight, inizia a progettare l’importazione di calzature sportive (prevalentemente scarpe da atletica) giapponesi nel mercato americano. Con il supporto di Bill Bowerman, allora allenatore della nazionale statunitense di atletica leggera, decidono di fondare la società e di vendere i prodotti della giapponese Onitsuka Tiger. Il successo riscontrato porta i due fondatori alla creazione del proprio marchio, che venne lanciato ufficialmente il 30 maggio 1971. Il nome Nike è l’adattamento del nome della Dea greca che personifica la vittoria e che viene spesso raffigurata come una trionfante donna con le ali, rappresentata dalla scultura in marmo di Pitocrito, la Nike di Samatrocia, esposta a Louvre.
Nel 1985 accresce ancor di più la sua fama con il lancio delle Air Jordan, primo modello pensato in collaborazione con Michael Jordan. Nel 1988 Dan Wieden, il co-fondatore dell’agenzia di comunicazione John Brown & Partners, conia lo slogan “Just Do It” per una campagna pubblicitaria.
La società nel corso degli anni amplia la sua offerta di prodotti includendo vari sport e diventando il primo produttore mondiale di accessori e abbigliamento sportivo, sponsor dei maggiori club calcistici e di pallacanestro e di molte altre realtà sportive. Produce anche orologi, occhiali e abbigliamento casual.
In totale la società ha acquisito nel corso degli anni 7 aziende (spendendo più di 305 milioni di dollari per l’acquisizione di Converse nel 2003) ed ha investito in altre 8 società comprendenti settori di analisi di Big Data e altri segmenti strategici.
A maggio 2021 Nike chiude i bilanci registrando ricavi per 44,54 miliardi di dollari, in aumento del 19,07% rispetto all’anno precedente. Il trend dell’ultimo trimestre, pubblicato il 23 settembre, vede un ulteriore aumento delle vendite a/a pari al 15,58%.
Under Armour ha una storia ben più recente rispetto a Nike e Adidas; è stata fondata infatti da Kevin Plank, ex giocatore di football americano, il 25 settembre 1996. Il nome dell’azienda deriva dal fatto che Kevin voleva realizzare una maglietta appositamente studiata per rimanere asciutta durante gli allenamenti, perché solitamente quelle che indossava sotto (“Under”) le protezioni (armatura, “Armour”) assorbivano il sudore. Per far ciò si ispirò ai tessuti sintetici utilizzati nella biancheria intima femminile.
L’azienda diventò famosa negli Stati Uniti nel 1999, quando il marchio apparve in due film sul football: Ogni maledetta domenica di Oliver Stone e Le riserve di Howard Deutch. Più di recente invece i capi Under Armour sono stati indossati da Claire Underwood, personaggio della serie tv House of Cards, oltre che dall’attore The Rock.
La differenza principale tra Under Armour e le altre principali aziende di abbigliamento sportivo sta nel marketing: Under Armour si presenta come un’azienda che fornisce gli indumenti migliori per allenarsi ma non si associa a un certo stile di vita, come fa per esempio Nike.
A fine 2020 ha generato ricavi per 4,47 miliardi di dollari, in leggero calo rispetto al 2019, accusando maggiormente le difficoltà del periodo pandemico; mentre già alla conclusione del primo semestre 2021 ha segnato incassi per 2,61 miliardi di dollari (in aumento del 59,35% rispetto al primo semestre 2020).
Il prodotto, emesso da Vontobel la settimana scorsa (isin DE000VX1FWT6), ha un ottimo rapporto rischio/rendimento perché, a fronte di una barriera capitale e premio al 60%, offre una remunerazione dello 0,79% al mese per un rendimento annuo del 9,48%.
Considerando la solidità di Nike a Adidas, il rendimento è dato dalla volatilità leggermente più alta di Under Armour, che si trova comunque del 17% più in basso rispetto ai massimi toccati ad agosto. Di conseguenza, partendo da un prezzo più basso aumenta la protezione a parità di percentuale. La barriera sulla UA è posta a 12,45$, meno del 50% rispetto al massimo di agosto.
Medesimo ragionamento può essere fatto per le due big. Tutto il settore ha infatti stornato in modo importante rispetto a qualche mese fa e le quotazioni oggi sono decisamente più abbordabili:
La prima osservazione utile per l’autocall è prevista a marzo 2022 e permette quindi l’incasso di almeno 6 cedole mensili, pari al 4,74%. La scadenza finale è posta a 24 mesi, ovvero a settembre 2023. Il certificato si può acquistare oggi a 99,20 Euro quindi leggermente sotto la pari.
Come sempre quindi l’analisi parte dal settore, che vede buone prospettive di crescita nell’immediato futuro, e da sottostanti solidi, con business consolidati e margini stabili. Nel dettaglio poi del prodotto ritengo che la remunerazione sia molto interessante vista la natura dei titoli che compongono il basket e con un rischio non troppo elevato.
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