04 luglio 2021
Comunque si voglia guardare i mercati finanziari di questo inizio estate 2021 una cosa è certa: le azioni vanno terribilmente di moda!
Il recente dato occupazionale di giugno ha infatti sancito che l’economia Usa corre oltremodo, avendo creato 850mila posti di lavoro, ben più delle attese (700mila) e quindi si festeggia con nuovi record storici per S&P e Nasdaq, perché si allentano i timori relativi ad un cambiamento strutturale del mercato del lavoro a causa degli incentivi voluti da Biden. Nuovi record storici ci furono anche il 7 maggio scorso, perché sempre lo stesso dato sull’occupazione (non-farm payrolls) che fu disastroso (solo 266mila posti creati contro i 990mila attesi) confermò la necessità delle strategie ultra-accomodanti del presidente della FED, Jerome Powell: un mercato fantastico che prende bene tutte le notizie interpretandole sempre a favore del rialzo dei listini.
Ma allora quale è il segreto di questa festa continua dei listini USA che inevitabilmente poi si espande a quasi tutti i listini del globo?
Dando per scontato l’ampiezza della liquidità e la mancanza di alternative ai rendimenti, vi è un terzo fattore determinante: il Congressional Budget Office prevede almeno 3mila miliardi di deficit (il 13,4% del pil) dopo i 3130 miliardi del 2020 (18% del pil): la mano pubblica si è fatta sentire e le politiche fiscali hanno sostenuto la ripresa in maniera determinante. Il peso dei sussidi concessi per superare la pandemia della vecchia e nuova presidenza stanno influenzando i salari orari medi, che hanno raggiunto i 30,4 dollari.
Il problema è quindi quello di cercare di capire quanto sia ancora sostenibile un’ulteriore spinta sull’acceleratore, quando evidentemente non possono essere chiuse tutte le ferite che l’epidemia ha prodotto sul corpo dell’economia USA. L’effetto delle sorprendenti politiche fiscali avrà necessariamente un’utilità marginale decrescente e non è quindi possibile sostenere che il passo attuale sia sostenibile per ancora molto tempo: un rallentamento della ripresa nei prossimi mesi è pressoché certo.
Molto interessanti sono le attuali dinamiche rotazionali tra i settori che vedono continui e repentini cambiamenti di umori tra gli operatori: i titoli growth stanno performando bene, poiché il mercato si aspetta una crescita più lenta ed è quindi disposto a pagare di più per azioni tech che beneficiano della disinflazione e di bassi rendimenti obbligazionari per sostenere valutazioni elevate. Fino a pochi giorni fa erano invece i titoli ciclici e finanziari che dominavano il mercato.
Io personalmente mi aspetto una decelerazione dell’economia USA ed un’inflazione che invece rimarrà sui livelli attuali per molti mesi ancora. In tale situazione credo in una salita dei rendimenti delle obbligazioni rappresentativi dei debiti sovrani su tutta la curva ed in particolare quelli a scadenza media (3-5 anni); peserei più volentieri le aziende value ed in particolare il settore finanziario, benché sia stato recentemente trascurato, oltre che il settore retail in grado di adeguarsi immediatamente all’inflazione. Un’inflazione persistente potrebbe essere tollerata anche dai tech, sempre che la FED sia capace di mantenere i tassi reali ampiamente negativi: è sui tassi reali che si focalizzeranno le attenzioni; quelli nominali possono anche crescere, purché l’inflazione corra più di loro.
Il gold, dopo la sbandata avvenuta contestualmente a quasi tutte le materie prime del dopo FOMC del 16 giugno scorso, ha mostrato una lieve ripresa malgrado il perdurare della forza del US dollar Index: ottimo segno!
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