Male che vada andrà male

La seconda settimana di febbraio si chiude fra i soliti record storici degli indici azionari USA (S&P 3935, Nasdaq Comp. 14096, DJ 31462). Benino anche le borse europee: stabile il DAX che chiude sempre oltre i 14000 punti, meglio il Ftse Mib che chiude a 23410, quota che non vedevamo da fine febbraio 2020.

Dando per scontato che tutti i Paesi delle economie avanzate abbiano chiuso la settimana coi debiti pubblici sui record (il debito pubblico globale, calcola l'Fmi, si è attestato al 97,6% nel 2020 e salirà al 99,5% quest'anno), vorrei evidenziare il comportamento dei rendimenti delle obbligazioni governative con scadenza 10 anni.

In area euro il rendimento del Bund 10y rimane saldamente negativo (-0,42%), negli altri Paesi è circa sullo zero con l’Italia che - a colpi di record storici - si avvicina al gruppo (+0,48% e spread a 90). Il Bond 10y USA invece torna a rendere oltre +1,2%, livello prepandemico. Se pensiamo che neanche venti giorni fa (il 26 gennaio) con le dimissioni di Conte, il rendimento del nostro Btp aveva superato quello della Grecia e lo spread era a 120, constatiamo che oggi la situazione è completamente ribaltata. In un mondo di tassi a zero, i governi che si indebitano in investimenti produttivi, grazie all’incremento del PIL, diminuiscono col tempo il rapporto debito/PIL. La possibilità di trasformare un debito buono in un miglioramento complessivo dei conti è favorita dalle politiche monetarie delle Banche centrali, che, tramite gli acquisti di obbligazioni pubbliche sui mercati secondari (aumentandone i prezzi e diminuendo così i loro rendimenti), hanno abbattuto gli interessi da pagare sui nuovi debiti.

Val la pena ricordare che il complesso meccanismo dell’attuale politica monetaria può funzionare solo quando le Banche comprano una percentuale non rilevante del debito emesso ed è quindi tutto sempre legato ad una questione di credibilità del sistema. Credibilità che può essere mantenuta solo attraverso una sana spesa pubblica, accompagnata dalle adeguate riforme.

Mario Draghi, che riuscì a convincere l’establishment europeo sul potenziale che poteva generare il QE e su quanto si potesse rubare tempo ad un inevitabile disfatta, crea un’aspettativa importante sui mercati.

Di tempo ne abbiamo già rubato troppo, ci siamo giocate parecchie carte pregiudizievoli del futuro della “Next Generation”. Mi piace sperare che ci rimanga ancora l’ultima carta: male che vada, andrà male!

Stando così le cose, visto l’esuberanza della liquidità in circolazione, il mercato azionario italiano rappresenta uno dei pochi asset a prezzi storicamente a sconto (il Nikkei quasi a 30000 si è già ben rivalutato).

Non ho idea di come finirà la questione italica, non ho voglia neanche di pensare alle conseguenze negative qualora perdessimo l’ultimo treno, mi accontento di una speranza, se no, “male che vada, andrà male!”

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